Brescia: emergenza idrica e non solo


Pubblicato il 28 Agosto 2019

Di seguito pubblichiamo la lettera, inviata ai giornali di Brescia, del Dott.Sergio Perini. 

Leggo sui quotidiani bresciani una info a pagamento della Coldiretti di Brescia sul tema: “Emergenza idrica: impegno per garantire l’irrigazione”. Viene rimarcato come il bacino Lago d’Idro e fiume Chiese abbiano una scarsa disponibilità di acqua prospettando gravi conseguenze per l’agricoltura e il territorio e cioè per le imprese agricole e la sicurezza sanitaria dei cittadini. Si pone una analogia dunque tra l’interesse economico della produzione agricola e la salvaguardia della salute. Come medico affermo che questi 2 concetti, oggi più che ieri, sono diametralmente opposti e non si possono mettere in relazione se non per una chiara volontà di equivocare.

Analizziamo meglio.

E’ grazie ad una produzione agricola intensiva, soprattutto di produzione di mais, che necessita di una quantità abnorme di acqua prelevata non solo dal Chiese ma anche dal Mella, dall’Oglio e dal Mincio oltre che dalle falde e ciò a scapito del   flusso minimo vitale dei fiumi. Mais di cui parte è utilizzato per il trinciato per i bovini ma una grande parte è utilizzato per essere bruciato nei biodigestori per produrre energia elettrica e metano: ciò alla luce degli incentivi economici dello Stato Italiano che favorisce, spacciandola per green economy, una economia drogata.

Il mondo agricolo sta sfruttando oltre ogni limite la potenzialità delle nostre campagne bresciane e lombarde non solo con un sistema di irrigazione a spandimento ma anche con utilizzo di pesticidi e fertilizzanti, sostanze tossiche per gli insetti e cancerogene per l’uomo, per avere una produzione sempre maggiore.

Aggiungasi la abnorme produzione zootecnica della bassa bresciana con la presenza di 3.927 allevamenti di bovini con 449.000 capi, 1.965 allevamenti di suini con 1.249.000 capi, 738 allevamenti avicoli con 10.249.000 polli e tacchini. Numeri impressionanti quando si rileva che in altre Regioni esistono dei limiti di legge alla produzione zootecnica: in tutta l’Emilia Romagna si allevano 1.561.00 suini, in Piemonte 928.000 e in Veneto 706.000. E’ impressionante prendere atto del carico di azoto che la bassa bresciana, Mantova e Cremona (Vd cartina allegata) devono sopportare grazie ai reflui di tutti gli animali allevati.  Reflui zootecnici che in Lombardia sono 43.250.000 tonnellate/anno e che devono essere distribuiti sulle aree vulnerabili con un massimo di 170 Kg di Azoto/ettaro/anno secondo il PUA (Piano Utilizzazione Agricola) che ogni Azienda deve dichiarare all’Ufficio Tecnico di ogni Comune e che dovrebbe essere controllato dagli stessi Uffici e dall’ARPA. E’ sotto gli occhi di tutti che grandi allevamenti di suini con 3/4.000 capi dovrebbero avere numerosi ettari di terreno per smaltire i reflui: in teoria agni Azienda ha a disposizione la terra sufficiente ma spesso ben lontano dalla produzione suinicola e ne consegue quindi lo sversamento abnorme nelle aree attorno all’Azienda o addirittura lo sversamento in canali, fossati o direttamente nei fiumi. Grave reato ambientale con enormi conseguenze sulla biodiversità ambientale.

Ne consegue dunque che le organizzazioni degli agricoltori, se veramente interessa loro la Salute dei cittadini e non solo il guadagno economico delle Aziende, dovrebbero favorire una maggiore consapevolezza negli agricoltori a ridurre la produzione zootecnica e a cambiare le produzioni agricole favorendo la produzione di vegetali che richiedono meno acqua dolce nella logica anche della biodiversità e della minore produzione di CO2 che tanta responsabilità ha nel surriscaldamento globale.

 

Dr Sergio Perini

Medico ISDE

Membro del Tavolo delle Associazioni che amano il fiume Chiese e il suo lago D’Idro

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