Incendio di Chieti, parla il medico ISDE Agostino Di Ciaula


Pubblicato il 9 Luglio 2015

Il WWF è tornato ad occuparsi dell’incendio di rifiuti sviluppatosi nella zona di Colle Marcone, a Chieti tra sabato 27 e domenica 28 giugno. E lo ha fatto interpellando un nostro medico, associato ISDE e coordinatore del comitato scientifico, il dottor Agostino Di Ciaula.

Il sito andato a fuoco era gestito della Serveco S.r.l., autorizzata allo stoccaggio provvisorio di rifiuti non pericolosi. Un procedimento giudiziario, attualmente in Cassazione e in attesa della sentenza definitiva, ha portato alla luce il fatto che il sito fosse stato utilizzato negli anni anche per lo stoccaggio di altre tipologie di rifiuti. In primo grado il legale rappresentante della ditta è stato condannato a 8 mesi di arresto e a una multa di 15mila euro, oltre al pagamento delle spese processuali.

Nel 2009 la Guardia di Finanza di Pescara aveva disposto il sequestro dell’area nella quale erano stati accumulati rilevanti quantitativi di rifiuti, pericolosi e non, miscelati tra loro ed abbandonati direttamente sul terreno vegetale e sul piazzale per una superficie di oltre 2000 metri quadrati. Già un anno prima anche la Forestale si era interessata dell’area inviando un rapporto completo alla Procura della Repubblica di Chieti, ma le segnalazioni e le indagini non avevano condotto all’adozione di alcun provvedimento cautelare. La sentenza di primo grado sottolinea che la presenza dei rifiuti rappresenta un “grave pericolo ambientale (percolazione sul terreno e inquinamento delle falde) nonché pericolo di incendio dell’intera area, considerata la presenza di olii, solventi e materiale plastico, sostanze tutte altamente infiammabili”.

Sulla questione si è dunque espresso il dottor Di Ciaula, dell’Associazione Medici per l’Ambiente, che ha affermato che: “Tutti gli inquinanti sino ad ora testati sono soltanto inquinanti atmosferici. La loro pericolosità è indipendente dai limiti di legge, in quanto non esiste per nessuno di loro un limite al di sotto del quale siano considerabili “innocui” per la salute umana. Dunque, la loro pericolosità, sempre presente, è direttamente proporzionale alle concentrazioni raggiunte. D’altra parte, però, la loro persistenza nell’aria ambiente è limitata nel tempo. La concentrazione raggiunge il picco massimo durante l’incendio ma progressivamente (e rapidamente) cala in maniera tempo-dipendente. I danni maggiori legati a quelle concentrazioni, dunque, sono già stati fatti.”

E ha continuato: “Il discorso invece cambia per gli inquinanti (diossine, PCB Poli Cloro Bifenili, metalli pesanti, ma anche alcuni IPA Idrocarburi Policiclici Aromatici) che, pur avendo raggiunto il picco atmosferico (nell’aria ambiente) massimo durante l’incendio, successivamente possono aver contaminato suoli e acqua in modo persistente, in quanto bioaccumulabili e non biodegradabili. È per questo che i successivi controlli si dovranno indirizzare in maniera particolare sulle concentrazioni di queste sostanze nelle matrici ambientali e in campioni biologici: sarebbe opportuno dosarle, ripetendo poi i controlli  a distanza di uno e due mesi, nei suoli, nei prodotti agricoli e, soprattutto, nelle uova.”

Le violazioni e il pericolo ambientale del sito erano, insomma, già state formalmente scoperte tra il 2008 e il 2009. Come spesso accade erano state lasciate cadere nel vuoto e nell’assoluta indifferenza delle istituzioni. Si è dovuto aspettare l’incendio e il manifestarsi di un “grave pericolo ambientale” per decidere di agire e fare qualcosa, ma chissà, forse oggi è già troppo tardi.

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