Impianto biometano e compost a Lecce, medici Isde: “Inquinante, costoso e pericoloso”


Pubblicato il 2 Settembre 2019

In attesa della conferenza dei servizi, fissata per domani sulla questione del progetto di un impianto di produzione di biometano e compost, si mobilita anche l’Isde, l’associazione italiana medici per l’ambiente. Si mobilita e chiede il diniego delle autorizzazioni per l’apertura dell’insediamento industriale. La società “MetApulia srl” ha infatti richiesto l’avvio della procedura finalizzata al rilascio del provvedimento autorizzatorio unico (che comprende anche la valutazione di impatto ambientale e l’autorizzazione integrata ambientale) per poter realizzare la nuova centrale.

L’impianto, che dovrebbe sorgere nella zona industriale di Lecce, al confine col territorio di Surbo, produrrebbe biometano e compost di qualità da cosiddetta “forsu”, la frazione organica dei rifiuti solidi urbani. Dovrebbe trattare circa 55mila tonnellate all’anno di forsu ma, nella futura configurazione, potrebbero finire nell’impianto anche altri rifiuti provenienti da attività alimentari e agroindustriali, fanghi di depurazione o derivanti dai processi di depurazione delle acque reflue urbane. E non è tutto.

Nella stessa struttura sarebbero anche previste altre 10mila tonnellate di sfalci di potatura. Ma, a questo tipo di insediamento industriale, c’è che si oppone fermamente. L’Associazione italiana medici per l’ambiente, tramite il segretario  della sezione leccese, Sergio Mangia, ha fatto sapere che parteciperà alla conferenza dei servizi di martedì per esporre le proprie osservazioni scritte. I medici che compongono l’associazione motiveranno inoltre la richiesta di un diniego autorizzativo da parte degli enti competenti. “Appare non essenziale per la nostra comunità, molto costoso, inquinante, scarsamente sostenibile e potenzialmente a rischio di incidente rilevante”, scrivono in una nota.

Isde ricorda che la forsu deve essere gestita secondo le priorità indicate dalla Unione europea, che privilegiano la riduzione della produzione (prevenzione e autocompostaggio) e il riciclaggio o recupero di materia. Quest’ultimo è identificabile soltanto con il compostaggio aerobico tradizionale, mentre la digestione anaerobica, principalmente finalizzata al recupero di energia, è da considerare scelta di secondo livello. E come tale è dunque subordinata alla sussistenza di condizioni tali da impedire o rendere inadeguata la realizzazione di un impianto di compostaggio aerobico o, al contrario, da rendere necessario il recupero energetico in base al reale fabbisogno locale o a criteri di sostenibilità ambientale.

“Lo specifico contesto locale e regionale nel quale l’impianto di digestione aerobica è stato proposto non è caratterizzato da alcun deficit energetico da colmare. La produzione di energia elettrica pugliese è attualmente superiore di oltre il 90 per cento rispetto al fabbisogno regionale e la presenza della Regione Puglia al primo posto a livello nazionale per produzione di gas clima-alteranti da impianti industriali rende urgente e indispensabile, ai fini del raggiungimento degli obiettivi internazionali, un deciso cambio di rotta verso l’utilizzo di fonti rinnovabili che non prevedano combustioni”, dichiarano i componenti di Isde Lecce, da sempre in prima linea sulle grandi questioni ambientali del territorio.

“Questo aspetto non può essere garantito da un impianto simile, né dal biometano da esso prodotto, che sarà comunque destinato alla combustione. La produzione energetica generata dagli impianti di digestione anaerobica non procede nella direzione della sostenibilità di cui la Puglia ha urgente necessità e non garantirebbe miglioramenti significativi né in relazione alla produzione di gas clima-alteranti, né in termini di stoccaggio di carbonio nel suolo”, proseguono prima di concludere.

“Il compostaggio aerobico tradizionale, con impianti di piccole-medie dimensioni che integrino quelli esistenti, dovrebbe essere preferito in via prioritaria rispetto agli impianti di DA anche per i minori costi di realizzazione e gestione, per il minore impatto ambientale e per l’assenza di rischi di incidenti rilevanti, con il vantaggio supplementare di spezzare monopoli, generare concorrenza di mercato e riduzione dei costi di conferimento. Proprio in considerazione degli elevati costi per la realizzazione e la gestione degli impianti di digestione anaerobica, la sostenibilità di questi ultimi è ancora fortemente legata alla erogazione di incentivazioni statali, senza le quali questi impianti sarebbero difficilmente proponibili, realizzabili e gestibili dal punto di vista imprenditoriale”.

Fonte: lecceprima.it

 

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